Articolo pubblicato sul N. 15 Luglio/Settembre 2008 della rivista Ars Historiae
In Europa sono presenti parecchi abiti restaurati. Il corredo dell’uomo di Similaun conservato al Museo Archeologico di Bolzano, alcuni indumenti risalenti all’età del bronzo conservati al Museo Nazionale di Copenaghen, precisamente un abito femminile rinvenuto in una sepoltura ad Egtved, (foto n. 1) composto da una corta gonna di cordicelle montata su una cintura, un corpetto con maniche che probabilmente veniva infilato dalla testa e una cintura finita da una nappa sorreggente un disco metallico. La veste di lana rinvenuta in una tomba a Borum Eshoj, presenta alcuni interessanti abbellimenti sulle maniche e attorno alla scollatura; dalla stessa tomba proviene anche una cuffia di elegante tessitura, portata forse sotto ad una reticella di crine di cavallo. L’abito rinvenuto a Borum Eshoj è dello stesso tipo di quello rinvenuto a Egtved: cintura a nappa, e gonna di cordicelle, di cui ne sussistono solo alcuni frammenti; le due vesti si differenziano solo dalla forma della scollatura. Infine una tunica maschile rinvenuta a Trindoj, formata da un pezzo di tessuto rettangolare, allacciato sulle spalle da corregge probabilmente di zampe di animali.
Per quanto riguarda il medioevo di notevole importanza sono gli indumenti rinvenuti nel 1921 durante gli scavi nella colonia di Herjolfsnes fondata nel 985 e abbandonata tra il 1375 e il 1410, date ovviamente approssimative. Gli abiti di Herjolfsnes (Museo Nazionale di Copenaghen) databili tra la fine del X e il primo quarto del XV secolo, sono una miniera d’oro di informazioni riguardanti i metodi di cucitura, il taglio, le tecniche di confezione, i materiali e quant’altro. In Italia abbiamo l’abito di S. Chiara, un bell’esempio di abito femminile, e la veste di S. Francesco, entrambi del XIII secolo. Studiando questi due reperti, abbiamo constatato che il taglio era simile a quello di alcuni abiti conservati in altri paesi europei con la medesima datazione (Abito di S. Elisabetta di Turingia, parrocchia di Oberwalluf). Al momento non sono stati rinvenuti nel nostro paese reperti ben conservati riguardanti il XIV secolo, quindi non possiamo affermare con certezza se lo stesso tipo di taglio dei reperti di Herjolfsnes fosse in uso anche in Italia, possiamo solo fare supposizioni. Per il XV secolo siamo in possesso di alcuni eccezionali capi di vestiario maschile, il farsetto di Pandolfo III Malatesta databile al primo quarto del XV secolo, la giornea e il farsetto di Diego Cavaniglia, ultimo quarto del XV secolo, l’abito penitenziale del beato Roberto Malatesta, primo quarto del XV secolo e due paia di calzebraghe risalenti all’ultimo decennio del ‘400 appartenute a Ferdinando I e Ferdinando II d’Aragona
ABITO DI SANTA CHIARA (1194-1253)
Indumento databile alla prima metà del XIII secolo, offre una preziosa chiave di lettura per comprendere il taglio di un abito femminile di quel periodo. Formato da due teli centrali, uno anteriore largo cm. 54,7 ed uno posteriore, cm. 51,7 con scollatura rotonda e un’apertura sulla spalla sinistra, l’ampiezza di circa mt. 4 all’orlo viene ottenuta mediante l’inserimento di tre gheroni laterali tagliati in sbieco (l’abito di S. Elisabetta ne presenta solo due). Notevole la lunghezza del vestito: lunghezza anteriore mt. 1,70, lunghezza posteriore 1,75. Le maniche lunghe circa cm. 50 presentano tre gheroni triangolari, tra la manica e l’incavo del giro manica dell’abito è inserito un tassello quadrato. L’abito fu confezionato con tessuto di lana spinato di quattro capi 2:2, l’ordito come la trama è costituito da fibre di lana di colore marrone, giallastro e biancastro. Si ringrazia Suor Chiara Anastasia Hill del Moastero di S. Chiara di Assisi per la traduzione degli atti del Restauro e la documentazione fotografica. L’abito di S. Chiara, il mantello, il cilicio, il velo, i capelli e il camice fatto da S. Chiara sono esposti nel santuario delle reliquie Protomonastero di S. Chiara ad Assisi.(foto n. 2)
VESTE DI SAN FRANCESCO (1181-82- 1226) Basilica di S. Francesco Assisi
San Francesco pare fosse solito regalare i suoi abiti ai poveri, non ci stupisce quindi il fatto che siano arrivate ai nostri giorni svariate vesti del santo. Una si trova a Cortona, altre due ad Assisi; La veste di lana bianca (Assisi) pare fosse stata regalata a S. Francesco da Jacopa dei Settesoli, considerando la finezza del tessuto, il colore e il taglio delle maniche non era sicuramente un indumento abituale del santo; apparteneva infatti al marito di Jacopa, Graziano Frangipane. Ci occuperemo nel dettaglio della seconda veste conservata ad Assisi (foto n. 3).
Confezionata in lana non tinta, il tessuto è costituito da un ordito di fibre di lana biancastra e dalla trama di fibre di lana marrone e beige; la lavorazione di lana marrone e beige mescolate secondo precisi parametri permette di ottenere un grigio scuro. Composta da due teli centrali, anteriore e posteriore larghi cm. 60, quattro gheroni laterali, che permettono di ottenere un’ampiezza totale al fondo di circa mt. 2, cuciti con filo di lino, le maniche hanno la stessa ampiezza sia alla spalla che al polso; parte del davanti, del dietro e della manica destra sono foderate di lino la manica sinistra è andata perduta. La veste è lunga mt. 1,35, presenta molte pezzette di lana usate per rattoppi tra cui alcune ricavate dal mantello di S. Chiara.
TUNICA DEL BEATO GALEOTTO ROBERTO MALATESTA (1411-1432) Monastero delle Clarisse Chiesa del Corpus Domini Bologna
Potrebbe trattarsi di un saio penitenziale, confezionato con un tessuto di lana molto grezzo e ruvido di un colore tra il grigio e il marrone spesso quasi mm. 5, è probabile che con le fibre di lana vi fossero intessuti crini di cavallo. E’ interessante vedere quanto questo indumento sia simile nel taglio alla veste di S. Francesco (Galeotto Roberto Malatesta fu terziario francescano). Anche in questo caso l’abito è composto da due teli centrali, quello anteriore composto a sua volta da due teli larghi cm. 36, aperto dallo scollo fino all’orlo, quello posteriore intero, largo cm. 70 all’altezza delle spalle e cm. 74 al fondo, due gheroni laterali quello davanti largo al fondo cm. 61 quello dietro cm. 63 entrambe i gheroni hanno una giunta triangolare vicino al giro manica larga cm. 4, la stessa cosa è stata riscontrata nella tunica di S. Francesco. Tra la manica lunga cm 45 e larga cm. 45 e l’incavo del giro manica dell’abito è presente un tassello quadrato cm. 9x9. Nell’apertura anteriore, in parte rifinita internamente con una striscia di seta beige non sono presenti bottoni ma vi sono i segni di una probabile stringa alta cm. 2 posta ad una distanza di circa cm. 6 dal girocollo. Sulla parte davanti destra vi è puntato uno spillo d’ottone lungo cm. 3 con testina dal diametro di mm. 2, probabilmente lo spillo servì per puntare la piccola pergamena. (foto 4)
PANDOLFO III MALATESTA (1370-1427) Musei civici di Fano
Farsetto in velluto di seta a pelo lungo color cremisi, composto da due parti anteriori e due posteriori, totalmente imbottito, l’imbottitura è trattenuta tra due strati di tela di lino; nella parte superiore delle maniche, tale imbottitura è stata fissata al velluto con impunture a ventaglio. La parte anteriore, e chiusa da bottoni distanziati cm. 2 l’uno dall’altro, dal diametro di circa cm. 1, decorati con un giro di impuntura; le impunture che decorano il collo e la parte inferiore della manica distanti mm. 3 l’una dall’altra furono eseguite a punto indietro con filo di seta.(6 )
DIEGO CAVANIGLIA (1453-1481) Convento S. Francesco a Folloni Montella
Sul n.8 Ottobre/dicembre 2006 di questa rivista uscì un articolo sull’abbigliamento funebre di Diego Cavaniglia primo conte di Montella, in cui per motivi di spazio si diede la precedenza al convegno che si tenne in dicembre a Napoli penalizzando gli indumenti in previsione di un successivo articolo; ho quindi pensato di riprendere l’argomento pubblicando i rilievi che, collaborando al restauro, ho potuto eseguire personalmente. Il farsetto fu confezionato con un bel damasco in seta probabilmente color avorio caratterizzato da un complesso modulo decorativo, rappresentate un motivo a melagrana circondato da foglie stilizzate e steli fioriti; lo stesso motivo si riscontra nella sopravveste di Ferdinando I d’Aragona (ultimo decennio del XV secolo, oggi conservata nella sacrestia della chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli), presenta delle strabilianti impunture distanti mm. 1 l’una dall’altra sul collo anteriore e scendono sulla parte posteriore formando un semicerchio, (foto 7) impunture eseguite con una tale perfezione da farle sembrare “fatte a macchina”. Il davanti è composto da due parti, chiuso fino al punto vita con 25 bottoni dal diametro di mm. 5 decorati con due giri di impuntura e da 5 occhielli di cui 3 rinforzati con maiette (anellini metallici probabilmente in ottone) posti in verticale lungo l’apertura centrale. Sotto il punto vita, delineato da una semplice impuntura e non da una cucitura vera e propria; si trova una fila di 9 occhielli, sull’orlo della falda sono posizionati due gruppi di tre occhielli posti orizzontalmente e due verticalmente lungo il fianco tutti rinforzati con maiette. La parte posteriore è composta da quattro elementi due quarti superiori e due inferiori che formano la falda della vita sulla quale sono presenti 8 occhielli sul punto vita e un gruppo di 3 occhielli sull’orlo posti orizzontalmente come sul davanti,. Le impunture che decorano la falda della vita sono in filo di seta ad un capo distanti mm. 4. La manica è divisa in due parti: la parte superiore va dal giro manica al gomito e la parte inferiore dal gomito al polso, nella parte superiore sono presenti 8 occhielli all’altezza del bicipite da dove fuoriuscivano stringhe di seta nere alte cm. 1 di cui non si trova menzione negli inventari e neppure nelle leggi suntuarie; tuttavia trovano un grande riscontro iconografico, Cesare Vecellio le commenta dicendo “che tali fettucce sono dal vento graziosamente agitate”. Non si conosce l’utilità di questi oggetti, vi sono molte ipotesi tra cui una molto interessante formulata recentemente da Massimiliano Righini e cioè che potessero in origine servire per trattenere le maniche della cotta di maglia ed in seguito divennero solo un ornamento. Tornando alla manica, la parte inferiore che ricopre l’avambraccio presenta un’apertura dal polso verso il gomito lunga cm. 16 ed è chiusa all’altezza del polso da 4 bottoni mentre al termine della cucitura appena sotto il gomito si notano 2 occhielli dove probabilmente passava una cordella forse di seta. Tutto il farsetto fu cucito a punto indietro con filo di seta a 3 capi, e i punti lunghi circa mm. 2.
La giornea di raso di seta cremisi composta da quattro parti, due anteriori e due posteriori, presenta tracce di imbottitura di lana all’interno dei cannelli 12 davanti e 12 dietro (il che potrebbe spiegare come mai l’iconografia ci mostra giornee con cannelli perfettamente stirati). Sulla parte anteriore possiamo notare lungo il fianco all’altezza del punto vita un piccolo taglio a V (foto 14) probabilmente la sede della cintura; la scollatura è rotonda sia nella parte anteriore che in quella posteriore dove è più profonda, il girocollo è rifinito da un sottile profilo dello stesso tessuto della giornea; all’interno sul davanti era cucita una lunga stringa di lino alta cm.1, che probabilmente serviva per legare internamente la sopravveste e fissarla alla vita in maniera non visibile all’esterno. Lungo i fianchi e l’orlo sono visibili le tracce di un decoro, probabilmente una frangia d’oro o d’argento di cui non sono state ritrovate tracce; c’è da tener conto che questi indumenti non furono ritrovati nella sepoltura originale ma avvolti in un telo di plastica che conteneva anche lo scheletro, “incidente” avvenuto probabilmente durante i lavori di restauro del convento dopo il terremoto del 1980 che devastò l’Irpinia; è quindi probabile che il decoro che circondava la giornea così come spada, daga, agugelli ed altri oggetti preziosi siano scomparsi ”forse distrutti dal terremoto?” L’ampiezza al fondo dell’indumento è di mt. 2,80 e la lunghezza cm. 70. Dagli studi effettuati sullo scheletro dal Professor Fornaciari sembra che il conte fosse alto mt. 1,74.
CALZEBRAGHE San Domenico Maggiore Napoli
Il primo paio rinvenuto nell’arca di Ferdinando I d’Aragona databili all’ultimo decennio del XV secolo è di panno di lana spigato di colore nero, tagliato in sbieco in un unico pezzo, provviste di piede da cui manca la parte della pianta, due piccoli gheroni laterali sono inseriti all’altezza della caviglia. Lunghezza totale mt. 1,00 ( Foto n.9)
Il secondo paio appartenuto a Ferdinando II databile intorno al 1498 è di panno di lana spigato come quello precedente ma di color cremisi foderato nella parte superiore e rinforzato lungo la cintura con una grossa tela per rendere più resistente il punto dove vi sono gli occhielli rinforzati da maiette ancora presenti.(Foto n. 10). Anche in questo caso provviste di piede come quelle di Ferdinando I Lunghezza cm. 86.
Bibliografia
Ruth Gronwoldt, Miszellen zur Textilkunst der Stauferzeit in Die Zeit der Staufer, Band V, Stuttgart 1979
M. Bigaroni- H.R. Meier- E. Lunghi, La Basilica di S. Chiara in assisi, Perugia 1994
C. Vecelli, Habiti antichi et moderni di tutto il mondo
N.d’Arbitrio, La nuova sacrestia le arche gli apparati e gli abiti dei re aragonesi, ed.Savarese, Napoli 2001
Fra Agnello Stoia, Diego Cavaniglia La rinascita di un conte. Cefrasm ISBN 978-88-903688-0-6










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